SMS dell’amante ed addebito della separazione

SMS DELL’AMANTE ED ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE.

La violazione dell’obbligo di fedeltà, desumibile da alcuni SMS amorosi pervenuti sul cellulare del marito, giustifica l’addebito quando si pone come causa della crisi coniugale.

Il suesposto principio di diritto è stato recentemente affermato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 5510 del 6 marzo 2017, nella quale si è pronunciata in una fattispecie nella quale la moglie aveva scoperto sul cellulare del marito dei messaggi amorosi pervenuti dall’amante.

Dal matrimonio derivano diversi obblighi e doveri tra i quali l’obbligo reciproco alla fedeltà (art. 143 c.c.), nel caso di violazione di tali obblighi il giudice, su richiesta della parte, pronunziando la separazione, può dichiarare, ai sensi dell’art. 151 c.c., a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.

La violazione del dovere di fedeltà che deriva dal matrimonio è causa di addebito della separazione nel caso in cui sussista uno stretto rapporto di causalità tra tale violazione e l’intollerabilità della convivenza.

L’addebito della separazione non costituisce un mero automatismo che consegue alla violazione del dovere di cui all’art. 143 c.c. spettando al giudice un accertamento della responsabilità di uno od entrambi i coniugi nel determinare l’intollerabilità della convivenza.

Nella fattispecie la scoperta degli SMS dell’amante sul cellulare del marito è stata considerata causa diretta della crisi coniugale dal momento che la scoperta della infedeltà era avvenuta successivamente alla riconciliazione dei coniugi.

Va infine rilevato che in altre occasioni la giurisprudenza, discostandosi da quell’orientamento  per il quale i dati ottenuti attraverso la lesione della altrui privacy sono ugualmente utilizzabili in processo, se serve per far valere un proprio diritto, si è pronunciata sull’illiceità del comportamento del coniuge che “spia” il cellulare e sulla violazione della privacy, ritenendo che le prove acquisite in tale modo, in quanto acquisite illecitamente e violando la riservatezza del partner, non possono essere utilizzate come prove nell’eventuale giudizio di separazione per richiederne l’addebito.

La Cassazione ha inoltre ritenuto che la condotta del coniuge che sottrae il cellulare del coniuge configura il delitto di rapina in quanto sussiste l’ingiustizia del profitto quando l’agente, impossessandosi della cosa altrui (nella specie, un telefono cellulare), persegua esclusivamente un’utilità morale, consistente nel prendere cognizione dei messaggi che la persona offesa abbia ricevuto da altro soggetto, trattandosi di finalità antigiuridica in quanto, violando il diritto alla riservatezza, incide sul bene primario dell’autodeterminazione della persona nella sfera delle relazioni umane (Cass. pen. Sez. II, 27 maggio 2016, n. 24297).

Allo stesso modo potrebbe costituire violazione dell’art. 615 ter c.p. l’introduzione abusiva nel social network in quanto la norma punisce chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di ha diritto di escluderlo.

 

Leonardo Vecchione

Avvocato in Roma