Revocatoria fallimentare: la prova presuntiva della conoscenza dello stato di insolvenza.

REVOCATORIA FALLIMENTARE: LA PROVA PRESUNTIVA DELLA CONOSCENZA DELLO STATO DI INSOLVENZA.

 

La conoscenza dello stato di insolvenza del debitore è uno dei presupposti individuati dall’art. 67, legge fallimentare, per la declaratoria di inefficacia del pagamento effettuato dal debitore successivamente fallito.

 

La Suprema Corte di Cassazione[1] ha recentemente statuito, in tema di revocatoria fallimentare,  che il presupposto soggettivo della conoscenza dello stato di insolvenza può ritenersi integrato laddove dalla mera pubblicazione degli articoli di stampa possa ricavarsi la prova di una precisa percezione, da parte dell’accipiens, dell’irreversibilità della crisi finanziaria. Tale circostanza, rileva la Cassazione, costituisce infatti, un valido indizio da cui poter trarre, assieme ad altri, la prova della sussistenza della scientia decoctionis da parte dell’accipiens.

 

In più occasioni la giurisprudenza[2] ha ribadito che la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del percipiente deve essere effettiva e non meramente potenziale e può essere provata dal curatore, su cui incombe il relativo onere probatorio, anche per via presuntiva ai sensi del combinato disposto degli art. 2727 e 2729 c.c., allorquando sussistano presunzioni gravi, precise e concordanti che il terzo, facendo uso della normale diligenza – rapportata anche alle sue qualità personali e professionali e alle condizioni in cui egli si è trovato concretamente ad operare – non avrebbe potuto non avvedersi dello stato di dissesto economico del debitore.

 

Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 3299/17 la Corte di Appello aveva escluso che dalla mera pubblicazione di articoli di stampa potesse ricavarsi la prova (sia pure a livello indiziario) di una precisa percezione, da parte dell’accipiens, della irreversibilità della crisi finanziaria in cui versava la società dichiarata fallita.

La Corte di Appello aveva, infatti, svalutato l’elemento della percezione della irreversibilità della crisi finanziaria sulla base dell’inesistenza di un dovere di lettura della stampa.

Concludendo,

per la Cassazione l’esclusione della deduzione del fatto ignoto dal fatto noto non può essere affermata in via generale ed astratta, con la conseguenza che la mera pubblicazione degli articoli di stampa può costituire un valido indizio da cui poter trarre, raffrontando con altri[3] la prova della conoscenza dello stato di insolvenza.

 

 

Leonardo Vecchione

Avvocato in Roma

[1] Cfr. Cassazione civ., sez. VI , 8 febbraio 2017, n. 3299.

[2] Cfr. Cassazione civ., sez. I, 29 ottobre 2012, n. 18565; Cassazione civ., sez. I, 17 gennaio 2001, n. 571;Cassazione civ., sez I, 1 dicembre 1999 n. 13048; Cassazione civ., sez. I, 26 gennaio 1999, n. 683; Tribunale Udine, 26 novembre 2013, in www.unijuris.it.

[3] Si veda ad esempio l’esistenza di protesti, di procedure esecutive; l’emissione di decreti ingiuntivi, la presentazione di ricorsi per la dichiarazione di fallimento; i dati ricavabili dal bilancio ed ancora in tema di revocatorie bancarie, l’addebito di insoluti, la difficoltà di rientrare dagli sconfinamenti concessi, le informazioni risultanti dalla centrale rischi, la revoca del fido e la richiesta di rientro.