Nota a sentenza art. 2051

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 2 dicembre 2008 – 23 gennaio 2009, n. 1691

(Presidente Filadoro – Relatore Federico)

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 17.3.98 A.V., premesso che il giorno (OMISSIS) circolava in (OMISSIS) alla guida del proprio ciclomotore e che, giunto all’altezza di via (OMISSIS) (direzione (OMISSIS)), in una curva sinistrorsa il motociclo scivolava sul gasolio presente sul manto stradale, travolgendo esso esponente, che riportava gravi lesioni giudicate guaribili in 40 gg. s.c., conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Comune di Roma per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza di detto sinistro.

Si costituiva il Comune di Roma, che in via preliminare chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa l’impresa (OMISSIS), appaltatrice dei lavori di manutenzione stradale all’epoca del sinistro ed unica responsabile dell’evento per cui era causa, ed instava che fosse manlevato e/o rimborsato di quanto si dovesse versare a chicchessia per sorte, interessi e spese.

Si costituiva anche l’Impresa (OMISSIS), chiedendo il rigetto della domanda di manleva e di garanzia proposta dal Comune e di quella principale proposta dall’attore.

Espletata l’istruzione, l’adito Tribunale rigettava la domanda dell’ A.: interposto appello da parte di quest’ultimo, si costituivano sia il Comune, che chiedeva il rigetto del gravame e proponeva appello incidentale condizionato per la condanna dell’Impresa (OMISSIS) a manlevarlo e garantire, che quest’ultima impresa, che concludeva per il rigetto di entrambe le domande.

Con sentenza depositata il 5.7.04 la Corte di appello di Roma rigettava entrambi gli appelli, e contro tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’ A., con due motivi, mentre sia il Comune di Roma che l’Impresa (OMISSIS) hanno resistito con controricorso, con cui hanno sollevato ricorso incidentale condizionato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c..

A) Ricorso n. 27669/04. 1. Il primo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2051 c.c., dell’art. 14 C.d.S., dell’art. 1655 c.c. e segg., nonchè illogica, apodittica ed omessa motivazione su più punti decisivi della controversia, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto – pur avendo riconosciuto come provata la preesistenza di gasolio sparso sulla strada, nonchè la circostanza che analoghi spargimenti in passato avevano dato luogo a vari sinistri – che al caso di specie non potesse applicarsi il disposto dell’art. 2051 c.c., deve ritenersi fondato.

Giustamente, infatti, la ricorrente si duole che in ordine ai danni subiti dall’utente in conseguenza dell’omessa o insufficiente manutenzione delle strade pubbliche la Corte territoriale abbia in modo aprioristico ritenuto che il referente normativo per l’inquadramento della responsabilità della P.A. è costituito, non dall’art. 2051 c.c. (che sancirebbe una presunzione inapplicabile nei confronti della P.A. con riferimento ai beni demaniali quando siano oggetto di un uso generale ed ordinario da parte dei terzi), ma dall’art. 2043 c.c., che impone invece, nell’osservanza della norma primaria del “neminem laedere”, di far sì che la strada aperta al pubblico transito non integri per l’utente una situazione di pericolo occulto.

In realtà, la Corte di merito ha fatto proprio un orientamento giurisprudenziale ormai obsoleto e che non tiene conto dell’evoluzione della giurisprudenza in subiecta materia a partire dalla nota pronuncia n. 156 del 10.5.1999 della Corte costituzionale.

La quale ebbe, infatti, ad affermare il principio che alla P.A. non era applicabile la disciplina normativa dettata dall’art. 2051 c.c. solo allorquando “sul bene di sua proprietà non sia possibile – per la notevole estensione di esso e le modalità di uso, diretto e generale, da parte di terzi – un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti”.

Ne deriva che, secondo tale autorevole interprete, il fattore decisivo per l’applicabilità della disciplina ex art. 2051 c.c. debba individuarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l’impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all’uso generale e diretto da parte dei terzi, considerati meri indici di tale impossibilità, ma all’esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto gli indici suddetti.

In questa direzione si è orientata anche negli ultimi anni la giurisprudenza di questa Corte, i cui più recenti arresti hanno segnalato, con particolare riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all’estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all’interno della perimetrazione del centro abitato (v. Cass. n. 3651/2006; n. 15384/2006).

Questo procedimento di verifica in merito all’esistenza del potere di controllo e vigilanza, di cui si discute, è stato invece totalmente omesso dalla Corte di merito, che si è trincerata dietro l’inapplicabilità in via di principio dell’art. 2051 c.c. alla manutenzione delle strade da parte della P.A..

Alla luce delle considerazioni che precedono va, dunque, affermato il principio che la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall’art. 2051 c.c., è applicabile nei confronti dei comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l’esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi.

Sintomatico, in questo senso, deve considerarsi la circostanza, anch’essa tenuta presente dalla Corte di merito (ma da questa non valorizzata ai fini della riconducibilità della responsabilità del Comune di Roma nell’ambito di cui all’art. 2051 c.c.), che ha riguardo alla suddivisione in “zone” della manutenzione delle strade del territorio comunale, affidata in appalto a varie imprese, tra cui quella V.A..

E’ indubbio, infatti, che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza gravata, tale “zonizzazione” comporta per il Comune, sul piano meramente fattuale, un maggiore grado di possibilità di sorveglianza e di controllo sui beni del demanio stradale, con conseguente responsabilità del Comune stesso per i danni da essi cagionato, salvo ricorso del caso fortuito.

Nè può sostenersi che l’affidamento della manutenzione stradale in appalto alle singole imprese sottrarrebbe la sorveglianza ed il controllo, di cui si discute, al Comune, per assegnarli all’impresa appaltatrice, che così risponderebbe direttamente in caso d’inadempimento: infatti, il contratto d’appalto per la manutenzione delle strade di parte del territorio comunale costituisce soltanto lo strumento tecnico – giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell’ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell’art. 14 C.d.S. vigente, per cui deve ritenersi che l’esistenza di tale contratto di appalto non vale affatto ad escludere la responsabilità del Comune committente nei confronti degli utenti delle singole strade ai sensi dell’art. 2051 c.c..

2. Il secondo motivo, con cui viene dedotta la violazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. nonchè illogica, apodittica ed omessa motivazione circa un punto decisivo, per non avere la Corte di merito spiegato adeguatamente le ragioni per cui era stata esclusa la sussistenza di un’insidia o trabocchetto, resta assorbito in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo.

B) Ricorso n. 1573/05 e ricorso n. 1701/05.

Sia il ricorso incidentale condizionato, con cui il Comune di Roma, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso principale, ripropone la questione dell’obbligo dell’Impresa (OMISSIS) a manlevarlo, stante la sua responsabilità nella produzione dell’evento dannoso, che quello incidentale, sempre condizionato all’accoglimento del ricorso principale, con cui l’Impresa predetta deduce l’insussistenza del diritto del Comune di Roma ad essere garantito e manlevato, con la condanna di chi di dovere alla rifusione in suo favore delle spese di tutti i gradi di giudizio, restano assorbiti a seguito dell’accoglimento del primo motivo del ricorso principale.

C) In conclusione, viene accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali condizionati, e conseguentemente la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio della causa dinanzi alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che, oltre che uniformarsi al principio di diritto enunciato al punto 1. della presente sentenza, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M

Riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, ed assorbiti altresì i ricorsi incidentali proposti dal Comune di Roma e dall’Impresa (OMISSIS), cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa dinanzi alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2009

NOTA

La sentenza in esame conferma l’evoluzione giurisprudenziale nel settore delicatissimo della responsabilità da fatto illecito ed in particolare della responsabilità della P.A. per omessa o insufficiente manutenzione delle strade pubbliche.

Si deve, infatti, registrare da parte dei giudici di legittimità la volontà di esigere una maggior responsabilità della P.A. al fine di evitare che dalla carenza di manutenzione del bene pubblico o di vigilanza sulle imprese che ricevono in appalto la manutenzione di strade e marciapiedi possano verificarsi eventi lesivi.

La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. trova, infatti, applicazione anche con riferimento ai beni demaniali venendo di fatto equiparati i soggetti pubblici a quelli privati eliminandosi quell’ingiustificato privilegio di cui godevano le Pubbliche Amministrazioni.

Statuisce, infatti, ora la Suprema Corte che la P.A., nella fattispecie il Comune, risponde di eventuali danni cagionati dalle cose che ha in custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c. e non in ragione del generale principio del “neminem laedere” posto dall’art. 2043 c.c. “pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l’esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi”.

Il presupposto per applicabilità della responsabilità per i danni cagionati dalle cose in custodia resta, comunque, individuato nella possibilità da parte della P.A., anche in ragione dell’estensione del bene, di esercitare un controllo su di esso.

L’onere di provare l’impossibilità di esercitare il debito controllo sui beni in custodia incombe naturalmente sulla P.A.

L’accertamento di tale possibilità di controllo è devoluto di volta in volta al giudice di merito il quale non si dovrà basare soltanto sull’estensione territoriale del bene e sull’uso generale e diretto da parte di terzi ma, soprattutto, sulla natura e sulla tipologia delle cause che hanno cagionato il danno.

Nel corso di tale accertamento dovranno, dunque, assumere rilievo i vizi strutturali del bene e le situazioni estemporanee di pericolo create da terzi.

L’inquadramento della responsabilità sotto l’art. 2051 c.c. comporta, una responsabilità oggettiva della P.A. e, conseguentemente, il soggetto danneggiato ha il solo onere di dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento lesivo subito dal momento che si prescinde per l’accertamento della responsabilità da un’indagine sul dolo o sulla colpa.

La P.A. per andare esente da responsabilità deve fornire la prova liberatoria del caso fortuito ovvero, del verificarsi di un evento idoneo ad interrompere il nesso causale.

Detto evento può consistere sia nel fatto di un terzo e sia nel fatto dello stesso danneggiato (ad es. la volontaria e consapevole esposizione al pericolo da parte del danneggiato) e deve essere imprevedibile ed eccezionale o comunque autonomo e quindi di per sé sufficiente a causare l’evento1 .

Nel caso di concorso del soggetto danneggiato nella causazione dell’evento il risarcimento sarà valutato ai sensi dell’art. 1227 c.c.2

Si potrebbe, quindi, ravvisare il caso fortuito nell’ipotesi in cui l’evento lesivo si verificato in un periodo di tempo ragionevolmente insufficiente perché la P.A. venga a conoscenza del pericolo e possa intervenire per eliminarlo.

Non si può non rilevare, poi, che la prova liberatoria del caso fortuito da parte della P.A. debba essere valutata in base a criteri più ampi ed elastici di quelli che valgono per i beni privati essendo comunque i beni della stessa particolarmente esposti a fattori di rischio non prevedibili e non controllabili perché posti in essere da una generalità di terzi che il custode non può escludere dall’uso del bene e solo entro certi limiti può sorvegliare3.

La recente sentenza del Supremo Collegio è comunque una pietra miliare nell’ambito della responsabilità civile in quanto sancisce un vero e proprio progresso nell’inquadramento della responsabilità della P.A.

Invero la Suprema Corte non solo ha confermato in capo alla P.A. una responsabilità oggettiva ma ha anche sancito il principio che la stessa P.A. non possa invocare un trasferimento dell’obbligo di custodia e sorveglianza dei beni demaniali in capo all’impresa appaltatrice della manutenzione al fine di escludere la sua responsabilità.

Ed, infatti, l’obbligo di custodia non può essere derogato stante l’esistenza di una norma, l’art. 14 del Codice della Strada, che pone in capo all’Ente proprietario il dovere di sorveglianza del bene demaniale.

Infine di non poco rilievo è la conferma, con riferimento alle strade comunali, della circostanza che ove le stesse si trovino all’interno della perimetrazione del centro abitato tale fatto costituisce di per sè sintomo ed indice della possibilità di svolgere su di esse un effettivo controllo4.

L’EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE: TRA RESPONSABILITA’ EX ART. 2043 C.C. ED ART. 2051 C.C.

La responsabilità della P.A. per omessa o insufficiente manutenzione del manto stradale ha nel corso degli anni dato vita diversi orientamenti giurisprudenziali.

Un primo orientamento, di maggior favore per le Amministrazioni, individuava la fonte della responsabilità nel principio generale in materia di illeciti extracontrattuali previsto dall’art. 2043 c.c.

Veniva, pertanto, affermata la responsabilità risarcitoria della medesima P.A. solo qualora l’opus pubblicum costituisse un’insidia od un trabocchetto (cd. responsabilità da insidia o trabocchetto) ovvero un pericolo occulto5.

La sussistenza dell’insidia era ravvisata nel fatto che la situazione di pericolo presentava il requisito oggettivo della non visibilità e quello soggettivo della non prevedibilità. L’evitabilità della stessa veniva parametrata all’ordinaria diligenza e prudenza dell’utente la strada.

Tale accertamento veniva devoluto al Giudice di merito con la conseguenza che in virtù di tale impostazione sul soggetto danneggiato incombeva l’onere probatorio di dover dimostrare gli elementi costitutivi del fatto, il nesso di causalità, il danno ingiusto e l’imputabilità soggettiva dell’evento alla P.A.

In altre parole occorreva dimostrare l’esistenza di un’insidia o di un trabocchetto stradale non visibile e non prevedibile ed il comportamento colposamente omissivo dell’Amministrazione costituito dal non aver tempestivamente rimosso o segnalato l’insidia pur avendone avuto notizia.

La condotta omissiva veniva imputata alla P.A. dal momento che su di essa incombeva un obbligo di garanzia e, quindi, l’obbligo giuridico del soggetto, che dispone dei poteri necessari, di attivarsi per impedire l’evento offensivo dei beni affidati alla sua tutela.

Un secondo successivo orientamento6 riteneva invece applicabile nei confronti della P.A. l’art. 2051 c.c. relativamente ai beni demaniali soltanto quando, per la ridotta estensione del bene fosse possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza da parte della p.a., tale da impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti.

Una recentissima giurisprudenza della Suprema Corte7 ancor più rigorosa rispetto a quella che si annota afferma, invece, che il presupposto dell’applicabilità dell’art. 2051 c.c. nei confronti della P.A. si fonda solo sul rapporto che esiste tra il custode ed il bene.

Affinché sussista il rapporto di custodia è necessario, pertanto, che il soggetto custode possa esplicare sulla cosa un potere di sorveglianza, un potere di modificarne lo stato eliminando la situazione di pericolo insita nella medesima ed anche quello di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla stessa nel momento in cui si è prodotto il danno.

Avendo la P.A., e più precisamente l’ente proprietario di una strada tali poteri risponderà sempre quale custode del bene e sarà obbligato pertanto a controllare lo stato della cosa e a mantenerla in condizioni ottimali di efficienza quale ne sia la sua estensione salvo che provi “di non aver potuto far nulla per evitare il danno”.

La sentenza del 23 gennaio 2009, n. 1691 invece stabilisce che, ferma restando la responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, questa non potrà applicarsi agli enti pubblici allorquando il bene, demaniale o patrimoniale, non possa in concreto essere oggetto di custodia o vigilanza.

Tale impossibilità, però, deriverebbe non soltanto e semplicemente dalle caratteristiche stesse del bene e quindi dall’elevata estensione della strada e dalle modalità di uso della stessa e, quindi da una utilizzazione generale e diretta da parte di terzi, costituendo tali elementi soltanto indici di impossibilità di custodire, ma da un accertamento del giudice di merito sulla natura e sulla tipologia delle cause che hanno determinato il danno8. L’accertamento dovrà, quindi, investire anche le caratteristiche del bene, la posizione, i sistemi di assistenza che lo connotano, gli strumenti che il progresso tecnologico appresta, costituendo detti elementi fattori condizionanti le aspettative degli utenti sul bene9.

Infine qualora non sia applicabile la disciplina della responsabilità ex art. 2051 c.c., non ravvisandosi la possibilità di custodia del bene, il danneggiato potrà comunque agire per il risarcimento dei danni nei confronti della P.A. ai sensi dell’art. 2043 c.c. dovendo però in tal caso dare piena prova dell’esistenza di un’insidia o trabocchetto e del comportamento colposo della P.A.10.

Avv. Leonardo Vecchione

1 Cfr. Cass. n. 4279/08; Cass. n.20427/07; Cass. n. 5326/95.

2 Cfr. Cass. n. 17377/07.

3 Cfr. Cass. n. 15042/08.

4 Cfr. Cass. n. 15384/06.

5 Cfr. ex multis Cass. n. 22592/04; Cass. n. 21686/05; Cass. n. 12314/98; Cass. n. 9915/98.

6 Cfr. Cass. n. 20827/06; Cass. n. 15779/06; Cass. n. 15383/06;

7 Cfr. Cass. n. 20427/08.

8 Cfr. Cass. n. 15042/08.

9 Cfr. Cass. n. 23924/07.

10 Cfr. Cass. n. 5308/07; Cass. n. 15383/06; Cass. n. 15384/06.