L’ammissione al passivo fallimentare dello studio associato

L’AMMISSIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE DELLO STUDIO ASSOCIATO

 

Ai fini dell’ammissione al passivo fallimentare con il riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis, n. 2, c.c. lo studio associato deve dimostrare che il credito si riferisce ad una prestazione svolta personalmente dal professionista, in via esclusiva o prevalente, e che lo stesso sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesto dall’associazione.

La domanda di insinuazione al passivo fallimentare proposta da uno studio associato fa, dunque, presumere l’esclusione della personalità del rapporto d’opera professionale da cui quel credito è derivato[1].

Il riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2751 bis n. 2 trova il suo fondamento nel lavoro personale del professionista.

Negli studi associati il dato associativo ed economico fa venire meno l’originaria causa del credito e, quindi, del privilegio atteso che lo stesso viene a confondersi con la remunerazione dell’attività organizzata divenendo, pertanto, credito d’impresa.

L’art. 25, comma 1, D.Lgs. n. 96 del 2001 dispone, invero, che i compensi derivanti dall’attività professionale degli associati diventano crediti dell’associazione, di talché deve attribuirsi rilievo primario allo schermo associativo rispetto alla natura professionale dell’opera[2].

Il professionista può, tuttavia fornire la prova della sussistenza di un vincolo pattizio diverso ed in deroga alla citata norma quale è ad esempio quello fondato sul meccanismo della cessione del credito.

In termini più generali la Cassazione[3] in precedenza aveva affermato che ai fini del riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2751-bis, n. 2, c.c., non occorre accertare se il professionista richiedente abbia o meno organizzato la propria attività in forma associativa, ma verificare come è nato e, quindi, tra quali soggetti, l’incarico dal quale deriva il credito (personalmente al professionista ovvero all’entità collettiva associazione/studio professionale nella quale, eventualmente, egli è organicamente inserito quale prestatore d’opera qualificato). Nel primo caso, il credito ha natura privilegiata, per effetto dell’applicazione dell’art. 2751 bis n. 2 nel suo tenore letterale, in quanto costituisce in via prevalente remunerazione di una prestazione lavorativa, ancorché necessariamente (ossia a prescindere dal fatto che lo studio sia nella titolarità di un singolo o di più professionisti) comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento, mentre nel secondo ha natura chirografaria, perché ha per oggetto un corrispettivo riferibile al lavoro del professionista solo quale voce del costo complessivo di un’attività che è essenzialmente imprenditoriale.

Successivamente la Cassazione[4], come esposto in premessa, nel rispetto dei limiti dell’interpretazione estensiva dell’art. 2751 bis, n.2, c.c., ha ritenuto che la domanda di ammissione al passivo in via privilegiata da parte di uno studio associato fa presumere che non spetti il privilegio a meno che l’istante non provi che il credito si riferisce ad una prestazione svolta personalmente in via esclusiva o prevalente di un associato ancorché l’associazione glie ne abbia conferito l’incarico.

 

 

Leonardo Vecchione

Avvocato in Roma

[1] Cfr. Cass.. civ., sez. I, 24 agosto 2016, n. 17287; Cass.. civ., sez. I, 31 marzo 2016, n. 6285;

[2] Cfr. Cass. civ. Sez. VI, (Ord.), 14 gennaio 2016, n. 443.

[3] Cfr. Cass. civ. Sez. I, 05-03-2015, n. 4485.

[4] Cfr. Cass.. civ., sez. I, 24 agosto 2016, n. 17287.