L’ammissione al passivo del credito della banca

L’AMMISSIONE AL PASSIVO DEL CREDITO DELLA BANCA

 

La banca che agisce per ottenere il riconoscimento del credito in sede fallimentare, essendo il curatore fallimentare rappresentante della massa dei creditori e, quindi, terzo rispetto all’imprenditore fallito, deve produrre con la domanda di insinuazione al passivo del fallimento tutti gli estratti conto a far data dal momento di apertura del conto.

Sul punto si è recentemente espressa la Cassazione[1] statuendo che: “Nel contratto di conto corrente bancario, la banca che assuma di essere creditrice del cliente ha l’onere di produrre in giudizio i relativi estratti conto a partire dalla data della sua apertura, non potendo pretendere l’azzeramento delle eventuali risultanze del primo degli estratti utilizzabili, in quanto ciò comporterebbe l’alterazione sostanziale del medesimo rapporto, che vede nella banca l’esecutrice degli ordini impartiti dal cliente, i quali si concretizzano in operazioni di prelievo e di versamento ma non integrano distinti e autonomi rapporti di debito e credito tra cliente e banca,rispetto ai quali quest’ultima possa rinunciare azzerando il primo saldo”.

La teoria del c.d. “saldo zero”, per la quale, in ipotesi di mancata produzione degli estratti integrali del conto, il giudice del merito avrebbe dovuto comunque considerare il valore probatorio di quelli prodotti per un periodo limitato, onde ricostruire su codesti i rapporti di dare e avere previo azzeramento delle risultanze del primo documento contabile a disposizione, non può essere, dunque condivisa.

Essendo il curatore fallimentare terzo rispetto al fallito la banca non può, poi, invocare gli effetti che ai sensi dell’art. 1832 c.c., derivano, ma soltanto tra le parti del contratto, dall’approvazione anche tacita del conto da parte del correntista, poi fallito, e dalla di lui decadenza dalle impugnazioni.

A tale onere di integrale produzione degli estratti conto dell’intero rapporto la banca non può sottrarsi neppure invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre i dieci anni perché non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito[2].

La banca che vuole ammettersi al passivo di un fallimento, pertanto, per assolvere l’onere di dare piena prova del suo credito secondo il disposto dell’art. 2697 c.c., deve produrre gli estratti a partire dall’inizio del rapporto, dando così integrale dimostrazione del credito vantato con riguardo alle afferenti risultanze, esattamente come accade a parti invertite per il correntista ove si tratti di azione di ripetizione da questi avanzata per effetto della dedotta nullità di alcune clausole del contratto di conto corrente[3].

A fronte della produzione che rappresenti l’intera evoluzione storica dello svolgimento del rapporto, sul curatore fallimentare incombe il dovere di procedere ad una verifica della documentazione prodotta dal creditore che si insinua al passivo e dunque di controllo delle emergenze dell’estratto conto secondo le risultanze in suo possesso.

Tale obbligo di verificazione presenta parallelismi con il procedimento di rendimento del conto e consente la valorizzazione dell’estratto conto integrale prodotto ed analizzato quale prova.

All’esito del puntuale controllo della integrale produzione di tutti gli estratti conto a fa data dall’inizio del rapporto, farà seguito, in capo al curatore fallimentare, un obbligo di specifica contestazione, in particolare, della verità storica delle singole operazioni oggetto di rilevazione contabile che non trovino adeguato riscontro.

In presenza di contestazioni da parte del curatore fallimentare, l’istituto di credito avrà l’onere, in sede di osservazioni ex art. 95, comma 2, L. Fall. o quanto meno in sede di opposizione, di arricchire la documentazione prodotta con atti idonei ad attestare l’effettivo svolgimento delle operazioni oggetto di rilevazione contabile in contestazione.

Per contro ove il curatore, costituendosi o meno in sede di opposizione, nulla abbia osservato in merito all’evoluzione del conto nel senso rappresentato negli estratti prodotti, il tribunale non potrà che prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale nei termini rappresentati all’interno dell’estratto conto integrale depositato.

Inoltre il tribunale non potrà pretendere ulteriore documentazione a suffragio dei fatti storici in questo modo risultanti, pur mantenendo, come per regola generale, ogni più ampia possibilità di sollevare d’ufficio le eccezioni, non rilevabili ad esclusiva istanza di parte, giustificate in base ai fatti in tal modo acquisiti in causa[4].

 

 

Leonardo Vecchione

Avvocato in Roma

 

[1] Cfr. Cass. civ. Sez. I, Ord., 1 settembre 2018, n. 22208, conforme a Cass. civ. Sez. I, Sent., 16 aprile, n. 9365.

[2] Cfr. Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., 25 maggio 2017, n. 13258; Cass. civ. Sez. I, Sent., 20 aprile 2016, n. 7972 rileva che “la banca non può sottrarsi all’onere di provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione, in quanto tale obbligo volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all’attività imprenditoriale non può sollevarla dall’onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore”; Cass. civ. Sez. I, Sent., 26 gennaio 2011, n. 1842.

[3] Cfr. Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., 04 dicembre 2017, n. 28945; Cass. civ. Sez. I, 13 ottobre 2016, n. 20693.

[4] Cfr. Cass. civ. Sez. I, Ord., 1 settembre 2018, n. 22208.