
IL DIRITTO DELL’EX CONIUGE ALLA PENSIONE DI REVERSIBILITA’
La funzione della pensione di reversibilità è quella di assicurare all’ex coniuge la prosecuzione del sostentamento assicurato dall’assegno divorzile.
Il diritto dell’ex coniuge alla pensione di reversibilità costituisce un autonomo diritto previdenziale che prescinde dallo stato di bisogno e si fonda sull’aspettativa maturata nel corso della vita coniugale[1].
I requisiti per il riconoscimento della pensione di reversibilità all’ex coniuge sono previsti dall’art. art. 9, comma 2, della legge 1 dicembre 1970 n. 898 (così come modificato dall’art. 13 della legge n. 74 del 1987).
Il citato articolo dispone, infatti che “In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno a sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”.
La norma individua, pertanto, le seguenti condizioni per il sorgere del diritto dell’ex coniuge alla pensione di reversibilità:
– il mancato passaggio a nuove nozze;
– la titolarità dell’assegno di divorzio;
– la circostanza che il rapporto (contributivo o di impiego) da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio.
A dirimere il contrasto[2] sorto in merito alla titolarità in astratto od in concreto dell’assegno di mantenimento e, quindi, alla necessità o meno di un provvedimento formale di riconoscimento dell’assegno di divorzio, è intervenuto il legislatore. L’art. 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, prevede, infatti, che “Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che per titolarità dell’assegno ai sensi dell’articolo 5 deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto articolo 5 della citata legge n. 898 del 1970”.
La giurisprudenza di legittimità successiva all’interpretazione autentica ha, quindi, affermato che il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità, o ad una quota di essa in caso di concorso con altro coniuge superstite, presuppone che il richiedente, al momento della morte dell’ex coniuge, sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto, non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo e neppure che in via di fatto o anche per effetto di private convenzioni intercorse tra le parti abbia ricevuto regolari erogazioni economiche dal de cuius quando questi era in vita[3].
Questione ancora dibattuta è, invece, quella relativa al riconoscimento della pensione di reversibilità nel caso in cui, in sede di divorzio, le parti abbiano, in luogo dell’attribuzione di un assegno divorzile, stabilito l’erogazione di una somma di denaro (c.d. una tantum) anche rateizzata ovvero il trasferimento di un altro bene o di un diritto (ad esempio il diritto di usufrutto o di abitazione su un appartamento di proprietà del de cuius).
Occorre, dunque valutare se il presupposto della titolarità di un assegno di divorzio possa dirsi integrato dalla corresponsione di una somma di denaro una tantum, o di un’altra utilità diversa o ancora di dal trasferimento di un bene o dalla costituzione di un diritto su un bene.
Secondo un primo orientamento è indifferente la corresponsione dell’assegno in un’unica soluzione piuttosto che con versamenti periodici[4] così come la costituzione o il trasferimento di un diritto in luogo di un versamento periodico di una somma di danaro[5].
Queste attribuzioni sarebbero tutte riconducibili al concetto di titolarità del diritto all’assegno previsto dall’art. 9, comma 2, legge 1 dicembre 1970 n. 898, con conseguente diritto dell’ex coniuge di accedere alla pensione di reversibilità.
In altri termini, tutte le volte in cui, per decisione del tribunale o per accordo dei divorziandi, sia stata determinata una forma di assegno la cui erogazione periodica non abbia a cessare con il decesso dell’obbligato, sembrerebbe doversi ritenersi soddisfatto il requisito della previa titolarità di assegno di cui all’art. 5 della legge per l’accesso alla pensione di reversibilità.
Secondo altro orientamento, invece, il diritto alla pensione di reversibilità compete soltanto nel caso in cui, in sede di regolamentazione dei rapporti economici al momento del divorzio, le parti abbiano convenuto di non regolarli mediante corresponsione di una somma una tantum[6].
In tal senso deporrebbe la considerazione che il tribunale allorquando nel pronunciare la sentenza di divorzio ritenga equa la corresponsione in una unica soluzione della somma concordemente proposta, in luogo dell’assegno periodico del suo equivalente “capitalizzato” al coniuge più debole che ne abbia diritto, emette un giudizio di definitiva composizione della questione. Tale giudizio comporta che l’accertamento che la soluzione prescelta sia idonea ad assicurare, anche per il futuro, la provvista, in favore del beneficiario del trasferimento del capitale, dei mezzi adeguati al suo sostentamento.
In tal senso militerebbe, inoltre, il disposto dell’art. 9 bis, comma 1, della legge 1 dicembre 1970 n. 898, secondo cui l’assegno periodico a carico dell’eredità “non spetta se gli obblighi patrimoniali previsti dall’art. 5 sono stati soddisfatti in unica soluzione”.
La Suprema Corte di Cassazione[7] si è recentemente espressa sul punto statuendo che “In tema di divorzio, qualora le parti, in sede di regolamentazione dei loro rapporti economici, abbiano convenuto di definirli in un’unica soluzione, come consentito della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 8, attribuendo al coniuge che abbia diritto alla corresponsione dell’assegno periodico previsto nello stesso art. 5, comma 6, una determinata somma di denaro o altre utilità, il cui valore il Tribunale, nella sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio, abbia ritenuto equo ai fini della concordata regolazione patrimoniale, tale attribuzione, indipendentemente dal nomen iuris che gli ex coniugi le abbiano dato nelle loro pattuizioni, deve ritenersi adempitiva di ogni obbligo di sostentamento nei confronti del beneficiario, dovendosi, quindi, escludere che costui possa avanzare, successivamente, ulteriori pretese di contenuto economico e, in particolare, che possa essere considerato, all’atto del decesso dell’ex coniuge, titolare dell’assegno di divorzio, avente, come tale, diritto di accedere alla pensione di reversibilità o (in concorso con il coniuge superstite) a una sua quota”.
La Cassazione non ravvisa, quindi, un’esigenza di garanzia nei confronti dell’ex coniuge che non godeva di alcun assegno, ritenendo, invero, irragionevole che questi percepisca la pensione di reversibilità dal momento che verrebbe a trovarsi in condizione migliore rispetto a quella di cui godeva quando l’ex coniuge era in vita.
Concludendo, per la Cassazione il discrimine tra le due diverse situazioni deve basarsi sulla corresponsione di un assegno periodico.
Leonardo Vecchione
Avvocato in Roma
[1] In tal senso si veda Cass., sez. un., 12 gennaio 1998, n. 159.
[2] Un primo orientamento era nel senso che l’espressione “sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5”, era da interpretarsi come riferita alla titolarità “in astratto” – cioè ad una situazione di diritto da accertare giudizialmente – e non necessariamente al concreto godimento dell’assegno medesimo sulla base dl uno specifico provvedimento giudiziale (cfr. Cass., 17 gennaio 2000, n. 457). Si riteneva, dunque, possibile, nel caso in cui l’assegno divorzile non fosse stato riconosciuto prima della morte del coniuge divorziato, attraverso un giudizio ex post, sia in via principale in un autonomo giudizio sia in via incidentale nel giudizio volto ad ottenere la pensione di reversibilità, valutare la sussistenza dei presupposti per il suo riconoscimento (in tal senso Cass. 25 marzo 2005, n. 6429).
Altro orientamento riteneva, invece, necessario un provvedimento formale di riconoscimento dell’assegno di divorzio, eventualmente adottato anche in sede di modifica delle condizioni di divorzio (cfr. ex multis Cass., sez. un., 25 maggio 1991, n. 5939; Cass., 5 agosto 2005, n. 16560).
[3] Si veda Cass., 18 novembre 2010, n. 23300; Cass., 29 settembre 2006, n. 21129; Cass., 13 marzo 2006, n. 5422.
[4] Cfr. Cass., 29 luglio 2011, n. 16744.
[5] Cfr. Cass., 12 novembre 2003, n. 17018; Cass. 28 maggio 2010, n. 13108 ha affermato il principio secondo cui l’accordo intervenuto tra i coniugi in ordine all’attribuzione dell’usufrutto sulla casa coniugale a titolo di corresponsione dell’assegno di divorzio in unica soluzione, a norma della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 8, è idoneo a configurare la titolarità di detto assegno, alla stregua del principio della riconduzione ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede o a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario ritrae utilità espressive della natura solidaristico- assistenziale dell’istituto. Ne consegue, secondo tale decisione, che la costituzione di usufrutto soddisfa il requisito della previa titolarità di assegno prescritto dall’art. 5, della legge ai fini dell’accesso alla pensione dl reversibilità, o, in concorso con il coniuge superstite, alla sua ripartizione..
[6] Cfr. Cass., 9 giugno 2011, n. 12546; Cass., 18 luglio 2002, n. 10458, ha rilevato che la pensione di reversibilità, oltre che consentire all’ex coniuge la prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal reddito del coniuge deceduto, riconosce allo stesso un diritto che non è inerente alla semplice qualità di ex coniuge, ma che ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarità attuale dell’assegno, la cui attribuzione ha trovato fondamento nell’esigenza di assicurare allo stesso ex coniuge mezzi adeguati. V. anche Cass., 14 giugno 2000, n. 8113.
[7] Cfr. Cass., 5 maggio 2016, n. 9054.