Il diritto ad accedere alla documentazione bancaria non è soggetto a restrizioni

IL DIRITTO AD ACCEDERE ALLA DOCUMENTAZIONE BANCARIA NON E’ SOGGETTO A RESTRIZIONI

 

L’art. 119 del Testo Unico Bancario (d.lgs. 385/1993) disciplina la richiesta, rivolta dai clienti alla banca, di copia della documentazione e dei contratti relativi a un rapporto bancario.

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 6975/2020[1] statuisce che la norma dell’art. 119, comma 4, T.U.B., nell’ammettere il diritto del cliente di ottenere banca copia dei documenti di contratto e di esecuzione dei rapporti bancari, non contempla nessuna limitazione che risulti in un qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra cliente e istituto di credito.

Nella fattispecie esaminata dalla Cassazione il giudice di merito aveva rigettato la domanda instaurata dal cliente nei confronti della banca[2] non ammettendo l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. della documentazione bancaria richiesta relativa al rapporto di conto corrente in assenza del positivo espletamento dell’intera procedura ex art. 119 T.U.B.

In realtà, rileva la Cassazione, la disposizione dell’art. 119, si pone tra i più importanti strumenti di tutela che la normativa di trasparenza riconosce ai soggetti che si trovino a intrattenere rapporti con gli intermediari bancari. Con tale norma la legge dà vita a una facoltà non soggetta a restrizioni (diverse, naturalmente, da quelle previste nella stessa disposizione dell’art. 119); e con cui viene a confrontarsi un dovere di protezione in capo all’intermediario, per l’appunto consistente nel fornire degli idonei supporti documentali alla propria clientela, che questo supporto venga a richiedere e ad articolare in modo specifico. Un dovere di protezione che è idoneo a durare pure oltre l’intera durata del rapporto, nel limite dei dieci anni a seguire dalla chiusura dei rapporti interessati[3].

Per la Cassazione, dunque, non è corretto limitare l’esercizio di questo potere di accesso alla documentazione bancaria alla fase anteriore all’avvio del giudizio eventualmente intentato dal correntista nei confronti della banca; nè tanto meno è corretta una soluzione che addirittura pretenda, come stabilito dal giudice di merito, il completo decorso del termine stabilito dalla norma perchè la banca consegni la documentazione contrattuale e contabile richiesta dal cliente.

Simili ricostruzioni, infatti, non soltanto risulterebbero in netto contrasto con il tenore della norma ma avrebbero l’effetto di trasformare uno strumento di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, facendo transitare la richiesta di documentazione del cliente dalla figura della libera facoltà a quella, decisamente diversa, del vincolo dell’onere, così pure introducendo un’arbitraria limitazione dell’esercizio del diritto di azione[4].

Neppure è da ritenere che l’esercizio del potere in questione sia in qualche modo subordinato al rispetto di determinare formalità espressive o di date vesti documentali; nè, tantomeno, che la formulazione della richiesta, quale atto di effettivo esercizio di tale facoltà, debba rimanere affare riservato delle parti del relativo contratto o, comunque, essere non conoscibile dal giudice o non transitabile per lo stesso.

In tema di ordine di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ., la Cassazione, poi, precisa che lo stesso non rappresenta uno strumento alternativo rispetto a quello delineato dall’art. 119, co. 4, T.U.B., ma al più costituisce il mezzo processuale attraverso cui potrebbe esplicarsi il diritto conferito da quest’ultima norma, attinente al piano dei rapporti tra banca e correntista e, dunque, regolato dal diritto sostanziale; ciò perchè, mentre il primo opera sul piano del processo e costituisce al più il mezzo attraverso cui il diritto sancito dal secondo potrebbe esplicarsi, il secondo conferisce un diritto e rileva perciò sul piano del rapporto tra banca e correntista regolato dal diritto sostanziale[5].

 

 

Leonardo Vecchione

Avvocato in Roma

[1] Cass. civ., sez. VI, 14 marzo 2020, n. 6975.

[2] Il giudizio instaurato dal cliente aveva ad oggetto l’accertamento dell’illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi; dell’illegittima applicazione della commissione di massimo scoperto; dell’illegittima applicazione di tassi ultralegali non concordati; dell’invalidità ex art. 1815 c.c., comma 2, del contratto di conto corrente.

[3] Cfr. ex multis Cass., 4 dicembre 2019, n. 31649; Cass., 11 aprile 2019, n. 14231; Cass. 30 ottobre 2019, n. 27769; Cass., 8 febbraio 2019, n. 3875; Cass., 28 maggio 2018, n. 13277; Cass., 15 settembre 2017, n. 21472; Cass., 11 maggio 2017, n. 11554; Cass., 12 giugno 2006, n. 11004.

[4] Cfr. Cass., 11 maggio 2017, n. 11554.

[5] Così Cass., 11 aprile 2019, n. 14231.