
IL COMPIMENTO DI ATTI DI STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE NON AUTORIZZATI NEL CONCORDATO PREVENTIVO NON COMPORTA LA REVOCA DELL’AMMISSIONE SE GLI ATTI NON SONO PREGIUDIZIEVOLI PER GLI INTERESSI DEI CREDITORI.
In tema di revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo l’art. 173 della legge fallimentare dispone espressamente che “Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori”, e, al comma 3, che “le disposizioni (…) si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell’art. 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato”.
Alla luce di tale disposizione la procedura di concordato preventivo può arrestarsi in tre ipotesi:
- il compimento di atti di frode anteriori o posteriori al decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo;
- l’esecuzione, durante la procedura, di atti straordinari non autorizzati ai sensi della L. Fall., art. 167;
- la mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti di ammissibilità.
A seguito dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo, il debitore, ai sensi dell’art. 167 legge fallimentare, conserva l’amministrazione dell’impresa ma deve conseguire l’autorizzazione del giudice delegato per compiere atti di straordinaria amministrazione.
La mancanza dell’autorizzazione al compimento dell’atto comporterebbe non solo l’inefficacia dello stesso ma anche l’applicazione della sanzione della revoca prevista dall’art. 173, comma 3, legge fallimentare.
La disposizione in esame sembrerebbe individuare negli atti straordinari non autorizzati un’ipotesi di atti di frode, ma tale equiparazione non è sempre possibile atteso che un atto straordinario non autorizzato potrebbe, a rigore, anche essere favorevole per la massa dei creditori concorsuali e, pertanto, non giustificare un provvedimento di revoca.
Occorre, dunque, chiarire se la mancata autorizzazione di un atto di straordinaria amministrazione ovvero di un atto per il quale è, comunque, prevista l’autorizzazione giudiziale determini automaticamente la revoca del concordato.
La Cassazione è intervenuta sul punto con la sentenza n. 16808/2019[1] statuendo che: “In tema di concordato preventivo, i pagamenti eseguiti dall’imprenditore ammesso alla procedura ovvero gli atti di straordinaria amministrazione di cui alla L. Fall., art. 167, compiuti in difetto di autorizzazione del giudice delegato, comportano, ai sensi della L. Fall., art. 173, comma 3, la revoca della suddetta ammissione, salvo che l’imprenditore ammesso alla procedura negoziale dimostri, nel conseguente giudizio di revoca L. Fall., ex art. 173, che tali atti (non assentiti giudizialmente) non siano pregiudizievoli per gli interessi dei creditori, essendo ispirati, al contrario, al criterio della migliore soddisfazione dei creditori, ovvero non siano diretti a frodare le ragioni di questi ultimi, così non pregiudicando le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato. Tale dimostrazione probatoria potrà essere fornita positivamente tramite l’allegazione e la prova da parte del debitore ammesso alla procedura concorsuale di elementi fattuali per l’apprezzamento positivo dell’atto non autorizzato, accertamento quest’ultimo da compiersi ad opera del giudice di merito”.
Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte di Cassazione la mancata autorizzazione concerneva un atto di transazione di un credito anteriore che risultava vantaggioso per i creditori sociali assicurando, da un lato la continuità aziendale e, dall’altro, l’esecuzione della principale commessa da cui dipendevano i flussi finanziari previsti per il pagamento dei creditori.
Per la Cassazione, dunque, gli atti non autorizzati a norma dell’art. 167, legge fallimentare, previsti dall’art. 173, comma 3, legge fallimentare, hanno una loro “intrinseca potenzialità pregiudizievole per gli interessi del ceto creditorio presunta per legge (come presunzione iuris tantum)”, superabile solo dalla dimostrazione, da parte del debitore, della mancanza di dannosità dell’atto.
Il debitore, per evitare la revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo, avrà, pertanto, l’onere di dimostrare che, nonostante la mancata autorizzazione giudiziale, l’atto compiuto risponda a criteri di ragionevole apprezzamento per la tenuta del piano concordatario e non determini conseguenze pregiudizievoli per gli interessi dei creditori.
La valutazione della concreta idoneità dell’atto non autorizzato a pregiudicare l’interesse dei creditori, deve essere compiuta non già in via immediata, ma in funzione dell’obiettivo finale che il piano presentato dal debitore si prefigge e delle modalità operative attraverso le quali detto obbiettivo dovrebbe realizzarsi.
Tale impostazione, rileva la Cassazione, è coerente con la riforma della soluzione negoziata della crisi di impresa sulla base dei seguenti rilievi:
- i) la condotta dell’imprenditore non è più sindacabile sotto l’aspetto della meritevolezza e non compete al giudice di accertare la convenienza economica della proposta;
- ii) l’esercizio dell’impresa da parte del debitore ammesso al concordato non è più soggetto alla direzione del giudice delegato;
iii) il criterio della “migliore soddisfazione dei creditori” (recentemente espressamente codificato con riguardo al concordato con continuità aziendale) individua una sorta di clausola generale applicabile in via analogica a tutte le tipologie di concordato quale regola di scrutinio della legittimità degli atti compiuti dal debitore ammesso alla procedura.
La Cassazione sposa, quindi, la tesi maggiormente liberale che risulta più coerente con le finalità dell’istituto del concordato preventivo, dovendosi, infatti, valutare la corrispondenza dell’atto rispetto al piano e dunque la sua utilità in funzione dell’obiettivo soddisfacimento dei creditori.
Leonardo Vecchione
Avvocato in Roma
[1] Cfr. Cass. civ, sez. I, 21 giugno 2019, n. 16808, conforme a Cass. civ. sez. I, 19 febbraio 2016, n. 3324.