Conflitto di interesse tra il singolo condomino ed il condominio

CONFLITTO DI INTERESSE TRA IL SINGOLO CONDOMINO ED IL CONDOMINIO

 

 

La Suprema Corte di Cassazione[1] è tornata a pronunciarsi in tema di maggioranze necessarie per l’approvazione delle delibere condominiali in caso di conflitto di interessi tra il singolo condominio ed il condominio ribandendo che: “in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del conteggio del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto. Pertanto, anche nell’ipotesi di conflitto d’interesse, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentino la maggioranza personale e reale fissata dalla legge e, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio, ciascun partecipante può ricorrere all’Autorità giudiziaria[2].

Il suesposto orientamento discende dal presupposto dell’ammissibilità, nella disciplina delle assemblee di condominio, di un’applicazione analogica dell’art. 2373 c.c., norma riguardante il conflitto di interessi del socio nelle deliberazioni della società per azioni. Nel testo dell’art. 2373 c.c., conseguente alla riformulazione operatane dal D.Lgs. n. 6 del 2003, è venuta meno la disposizione che portava a distinguere, in caso di conflitto di interesse, tra quorum costitutivo dell’assemblea e quorum deliberativo della stessa, e si afferma unicamente che la deliberazione approvata con il voto determinante di soci, che abbiano un interesse in conflitto con quello della società, è impugnabile, a norma dell’art. 2377 c.c., qualora possa recarle danno.

 

Leonardo Vecchione

Avvocato in Roma

[1] Cfr. Cass. civ., sez. VI , (ord.), 25 gennaio 2018, n. 1849.

[2] In senso conforme cfr. Cass. civ., sez. VI , (ord.), 25 gennaio 2018, n. 1853; Cass. civ., sez. II, 28 settembre 2015, n. 19131 per la quale, a differenza di quanto avviene nelle società di capitali, nel condominio non esiste un fine gestorio autonomo: la gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni non mira a conseguire uno scopo proprio del gruppo e diverso da quello dei singoli partecipanti. La gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni è strumentale alla loro utilizzazione e godimento individuali e, principalmente, al godimento individuale dei piani o delle porzioni di piano in proprietà esclusiva. Tutto ciò si riflette, anzitutto, sul conflitto di interessi, posto che per il sorgere del conflitto tra il condominio ed il singolo condomino è necessario che questi sia portatore, allo stesso tempo, di un duplice interesse: uno come condomino ed uno come estraneo al condominio (e, che l’interesse sia estraneo al godimento delle parti comuni ed a quello delle unità abitative site nell’edificio) e che i due interessi non possano soddisfarsi contemporaneamente, ma che il soddisfacimento dell’uno comporti il sacrificio dell’altro. E si riflette, altresì, sulla disciplina delle maggioranze assembleari, in quanto, posto che nell’organizzazione dell’assemblea la gestione delle parti comuni è predisposta in funzione del godimento delle parti comuni e soprattutto in funzione strumentale a vantaggio del godimento dei piani o delle porzioni di piano in proprietà esclusiva, la disciplina del metodo collegiale e del principio di maggioranza risponde a criteri specifici; il che comporta che le maggioranze occorrenti per la validità delle delibere in tema di gestione in nessun caso possono modificarsi in meno.

In senso contrario un precedente orientamento della Cassazione, v. Cass. civ., sez. II, 09 agosto 2011, n. 17140; Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2002, n. 10683; Cass. civ., sez. II, 18 maggio 2001, n. 6853; Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1997, n. 11254 e Cass. n. 270/1976, pur non riconoscendo al condominio una sia pur limitata personalità giuridica, attribuisce, purtuttavia, ad esso potestà e poteri di carattere sostanziale e processuale, desumibili dalla disciplina della sua struttura e dai suoi organi, cosi che deve ritenersi applicabile, quanto al computo della maggioranza della relativa assemblea, la norma dettata, in materia di società, per il conflitto di interessi, con conseguente esclusione dal diritto di voto di tutti quei condomini che, rispetto ad una deliberazione assembleare, si pongano come portatori di interessi propri, in potenziale conflitto con quello del condominio.

Conseguenza di tale orientamento è che nel caso in cui un condomino versi in situazione di conflitto d’interessi con il condominio e non possa perciò esercitare il diritto di voto nelle deliberazioni dell’assemblea, a norma dell’art. 2373, comma 1, c.c., il “quorum” deliberativo deve essere computato con esclusione dei millesimi del condomino che versi in conflitto d’interessi.